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I SUFI CERCANO UN RUOLO POLITICO IN EGITTO

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A seguito dell’esplosione di un’autobomba nella moschea di Ahmad al-Badawi (luogo in cui si trovavano le reliquie di Al-Sayyid Al-Badawi, fondatore dell’Ordine sufi Badawiyya), il 14 Ottobre 2014, Shaykh del medesimo Ordine hanno rilasciato una dichiarazione in cui accusano i Fratelli Musulmani ed i Salafiti di aver ordinato l’operazione.
Ambienti legati al Sufismo hanno promesso di ottenere ottimi risultati nelle prossime elezioni parlamentari, potendo così annunciare per la prima volta la loro candidatura, coordinandosi con le altre forze politiche presenti sul territorio.
Potrebbero quindi i Sufi essere più moderati al potere, soprattutto per quanto riguarda la religione, rispetto ai Salafiti e ai Fratelli Musulmani?
Sufi e Fratelli Musulmani condividono alcuni punti in comune, soprattutto per quanto riguarda il principio di assoluta obbedienza al capo. I Fratelli Musulmani obbediscono strettamente alla Guida generale del Gruppo (il Murshid), mentre i Sufi seguono gli ordini dello Shaykh.
Su questo argomento, Ahmed Ban, un ricercatore sul tema dei movimenti islamici, ha riferito ad “Al-Monitor”: “Vi è divergenza di vedute tra i sufi al riguardo dell’idea di ‘obbedienza’. Mentre alcuni credono che lo Shaykh debba essere obbedito in pieno, altri invece credono che la loro relazione con lui debba essere più che altro spirituale, e che debba tendere a migliorare e perfezionare la loro condotta”.
Dal canto suo, lo Shaykh sufi ‘Alaa Abu al-Azayem (dell’Ordine ‘Azamiyya), ha dichiarato in un’intervista ad Al-Monitor che “i Sufi non sono un ‘gruppo religioso’ come i Fratelli Musulmani o i Salafiti. Il Sufismo è un modo di vivere, dedicato a migliorare i comportamenti delle persone che ne fanno parte. I Sufi ritengono che lo Shaykh possa commettere errori, perciò non sono costretti ad obbedirlo ciecamente”.
Sufi, Fratelli Musulmani e Salafiti credono nel ritorno del Califfato o di uno Stato Islamico, in linea con il libro Al-Jafr, che è uno dei più famosi libri spirituali dello Shaykh sufi Muhammad Abu al-Azayem, dove si afferma che il Califfato Islamico sarà ripristinato ed adattato ai nostri giorni.
Analogamente, Rifaat al-Sayyed Ahmed, un analista politico, ha dichiarato ad  “Al-Monitor” che “il ritorno del Califfato Islamico è una nozione importante, esiste tra i gruppi religiosi, ma con un grado di flessibilità che si articola in modo diverso a seconda dei gruppi”.
Alcuni gruppi hanno un solo scopo: ripristinare lo Stato islamico, perché non credono nella legittimazione dello Stato laico. I Sufi rispettano lo Stato laico, considerando però lo Stato islamico come una profezia che potrebbe avverarsi”.
In una delle sue dichiarazioni, Abu al-Azayem ha detto di non credere al ritorno del Califfato Islamico. A detta di Abu Al-Azayem, i Sufi hanno fronteggiato il colonialismo in Egitto, nei Paesi Arabi ed in Africa. Ma essi non ripongono un credito assoluto nel Jihad e nella dichiarazione di “infedeltà” per chi non vi crede, come invece è l’abitudine dei Fratelli Musulmani e di alcuni gruppi salafiti.
In Iraq, i Sufi Naqshbandi hanno costituito delle milizie armate in seguito all’invasione statunitense del 2003. Il gruppo non ha limitato il suo ruolo a combattere contro l’invasione americana, ma secondo informazioni riportate da alcuni media esso sarebbe alleato dell’IS, il che avrebbe condotto per esempio alla caduta di Mosul.
Alcuni giornali inoltre hanno riportato che una coalizione degli Ordini sufi in Egitto è stata incoraggiata, già nel 2011, allo scopo di istituire una milizia atta a difendere i luoghi sacri dagli attacchi avvenuti dopo la rivoluzione del 25 Gennaio, anche se tali notizie sono state negate dai dirigenti di tale coalizione.
In una fatwa durante l’assemblea nella piazza di Rabia Al-Adawiya, nel 2013, i Sufi hanno dichiarato che chiunque uccide un membro dei Fratelli Musulmani o dei Salafiti è da considerarsi un infedele.
Tra le critiche mosse ai Fratelli Musulmani, vi è la relazione con l’ormai ex Partito Democratico Nazionale (NDP), quando alcuni attivisti hanno riproposto un’intervista condotta da un giornale egiziano all’ex presidente Mohammed Morsi (formalmente in carica per la commissione parlamentare elettorale dei Fratelli Musulmani). Nell’intervista egli ha dichiarato che i Fratelli Musulmani si sono coordinati con alcuni esponenti dell’NDP , perché essi sono dei simboli della nazione.
Ad ogni modo i Sufi possono essere criticati per le stesse ragioni, in quanto il gruppo prima aveva forti legami con l’NDP. Infatti lo Shaykh sufi ‘Abd el-Hadi al-Qasabi faceva parte del partito, dichiarando che i sufi erano disposti a cooperare in vista delle Elezioni Parlamentari.
Egli ha anche affermato che i Fratelli Musulmani hanno interessi in comune con l’Occidente, soprattutto con gli Stati Uniti. Ma anche i Sufi sono stati criticati a causa delle relazioni con altri paesi, tra cui l’Iran, il cui rapporto col regime egiziano non è stato ancora definito chiaramente. Tuttavia alcuni organi di stampa sostengono che l’Iran abbia fondato la Federazione Mondiale degli Ordini sufi.
Secondo Rifaat al-Sayyed Ahmed e Ahmed Ban potrebbe essere troppo prematuro ed ingiusto accusare i Sufi di essere fedeli ad alcuni regimi, in quanto l’esperienza politica sufi in Egitto deve ancora realizzarsi.
Ahmed dice che” l’ordine politico-religioso dei Senussi che ha governato in Libia prima della Rivoluzione era duramente criticato per i suoi rapporti con la Gran Bretagna, alla quale il regime ha permesso di stabilire basi militari sul territorio libico, in base al trattato del luglio 1953. Il regime ha permesso la stessa cosa anche agli USA in cambio di aiuti economici. Questa tra l’altro fu una delle ragioni che spiegano il progressivo affermarsi della Rivoluzione. I Sufi in Egitto non devono però essere giudicati alla luce dell’esperienza del regime dei Senussi in Libia”.
Ban e Ahmed sono entrambi d’accordo sul fatto che il Sufismo non ha caratteri estremisti e radicali e non cerca di proibire l’arte, come fanno altri gruppi religiosi.
Secondo Ahmed però i Sufi non credono nel modello liberale di assoluta libertà. Egli afferma che “il Sufismo sta nel mezzo, tra i gruppi religiosi radicali e l’eccessiva libertà che si può trovare in alcuni modelli politici. Il Sufismo è innanzitutto educazione religiosa. I Sufi credono nella rinascita della Sharia, e anche nel dovere delle arti, dei media e delle politiche statali di essere coerenti.
Tuttavia i Sufi sono i meno rigidi ed i più flessibili nell’applicare questa politica”.
Si può dire che Sufi, Fratelli Musulmani e movimenti salafiti condividono molti principi in comune, mentre le differenze stanno nella flessibilità della loro applicazione.
Ma questo potrà solo essere verificato nella pratica, verificando se i Sufi saranno più moderati dei Fratelli Musulmani. Finora gli indizi ci suggeriscono una certa somiglianza.

Fonte: Al-Monitor, 20 nov. 2014
Traduzione per Eurasia-rivista.org di Samuela Armenia

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DOSSIER IRAN E VICINO ORIENTE

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Ali Reza Jalali, Dossier Iran e Vicino Oriente, Irfan Edizioni, Rende (CS) 2014, pp. 86, € 10,00

Le dinamiche del Vicino Oriente, o Medio Oriente che dir si voglia, sono ormai all’ordine del giorno dei principali media nazionali e internazionali, per via dell’importanza strategica che questa regione del mondo, incastonata tra le principali potenze mondiali a livello militare ed econmomico (Unione Europea, Russia, India, Cina, Giappone, Stati Uniti), ricopre ormai da diverso tempo. Senza questo bacino energetico formidabile a basso costo – le principali riserve di gas e petrolio si trovano tra Golfo Persico, Mar Caspio e Mar Mediterraneo – le grandi potenze non sarebbero tali […] Questa pubblicazione, alla qualòe spero possano seguire nei prossimi anni altre, è un insieme di un anno di lavori di ricerca sui temi del diritto costituzionale, delle scienze politiche e delle relazioni internazionali; non uso la parola geopolitica, che ha una sua rilevanza specifica, anche se ormai sembra che questa materia sia molto approssimabile a quella delle relazioni internazionali. Il presente testo è concluso da un saggio del prof. Mohammad Reza Hafeznia, che ringrazio per la collaborazione, uno dei principali esperti di geopolitica e relazioni internazionali in Iran.

(Dalla Prefazione dell’Autore)

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LE ASSURDE SANZIONI ALLA RUSSIA NELL’ERA DELLA “CRISI”

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Pochi giorni or sono, prendendo spunto da una nota diramata dalla banca, la quale invitava i suoi correntisti a recarsi in filiale per bonifici verso paesi colpiti da “restrizioni ed embargo”, osservavo come sia del tutto controproducente e suicida un simile atteggiamento contro la Russia (e l’Iran e gli altri “cattivi”).
Il boicottaggio delle relazioni con Mosca ha davvero qualche cosa di folle perché lo si possa accettare sulla base di mai provate accuse circa le bellicose intenzioni del Cremlino e le ripetute grida sulle sue violazioni dei “diritti umani”.

Oltre a questo, vi è da rilevare la patente contraddizione tra l’ideologia professata dagli occidentali (il “libero mercato”) e la loro prassi, per cui non trovavo di meglio che definirla “la grande frottola della globalizzazione dei capitali. Pur tuttavia, gli strumenti tipici per creare problemi sono stati attivati, e tra questi l’ostacolo alle normali transazioni finanziarie.

Ma per comprendere come si è giunti a tanto, bisogna ripercorrere brevemente che cosa è accaduto con la fine dell’Unione Sovietica.
Fino al 1989 eravamo abituati a pensare ad un Europa divisa in due: una Occidentale, corrispondente a quella parte conquistata dagli americani nel 1945 ed inserita in gran parte nella Nato e nell’area d’influenza politica, economica e culturale dei nostri “liberatori”; un’altra Orientale, satellite dell’Urss, ovvero – fatte salve alcune realtà dotate di una certa autonomia – composta da quei Paesi che, a causa della “Cortina di ferro”, venivano fatti percepire al pubblico occidentale come lontani ed ignoti. Ma a tutti e due i contendenti stava bene così, con la regione euro-mediterranea – Italia compresa – teatro di una continua destabilizzazione, che in realtà serviva a stabilizzare, anche con l’ausilio dell’Entità politico-territoriale del movimento sionista detta “Stato d’Israele”.

Il simbolo di questa divisione a tutto nostro svantaggio era la Germania divisa in due (con altre sue parti smembrate un po’ qua e un po’ là), per cui sbaglia profondamente chi rimpiange l’epoca del Muro, dimostrandosi più innamorato dell’ideologia che della comprensione dei nostri reali interessi.
Poi, tutto d’un tratto, in maniera apparentemente inaspettata, il Muro s’è sbriciolato (o è stato fatto sbriciolare), e come in un effetto domino sono cadute (talvolta riciclandosi dopo aver trovato un capro espiatorio) le varie nomenclature di paesi che improvvisamente diventavano familiari e meno esotici, tanto che l’idea di “Europa” oggi s’è spinta fino all’Ucraina e al Caucaso, aree che prima dell’89 erano percepite come estranee dalla maggioranza degli occidentali.

Dal punto di vista geopolitico, il passaggio dall’Urss alla Csi ha rappresentato la corsa occidentale ad accaparrarsi il controllo delle regioni di quell’anello esterno che risulta fondamentale per la salvaguardia del “cuore” dell’Eurasia.
Ricorrendo anche alle “rivoluzioni colorate”, negli ultimi vent’anni è stato fatto di tutto per far entrare i paesi dell’ex “Europa Orientale” nella “Unione Europea” e nella sua orbita, che tutto è tranne che l’unione dei popoli d’Europa e che tra l’altro è un inganno anche dal punto di vista concettuale, come ho già avuto modo di argomentare.

Fondamentale, per capire la manovra a tenaglia ai danni della Russia, è poi importante sottolineare il fatto che prima che nell’Unione Europea (ed eventualmente nell’euro) questi paesi venivano inglobati nella Nato. A rimarcare che la Nato tutto è tranne che una “alleanza difensiva”.
Si tratta di cose risapute, ma è bene ribadirle: non è la Russia che minaccia l’Europa (e il mondo!), ma l’America e la sua ideologia. Nemmeno l’Urss, di fatto, oltre che garantirsi uno “spazio vitale”, ha mai mirato a sovietizzare quello che esulava dai suoi confini messi in sicurezza. Certamente possiamo discuterne la visione del mondo ufficiale, che possiamo condividere o meno, ma tutto si può dire dell’Unione Sovietica tranne che intendesse attaccarci. È semmai vero il contrario, e la verità è che, ieri come oggi, in mezzo, in uno scontro nucleare devastante, ci finiremmo proprio noi europei.

Questa fretta a fagocitare nell’Occidente quanti più paesi possibili dell’ex Patto di Varsavia era figlia di quella, ancora più forsennata e razionalmente inspiegabile, a concludere in quattro e quattr’otto, a tappe forzate, il “processo di unificazione europea”, a colpi di “trattati” e di moneta unica, che dal 1991, senza mai sottoporre alcunché al giudizio popolare (specialmente in Italia), ci ha portato dritti filati nella situazione di empasse politica e di grave crisi economica e finanziaria che tutti conosciamo.
Non si considererà mai abbastanza il fattore “fretta” per capire come mai, dall’oggi al domani, è stato inculcato ai cittadini dell’Europa Occidentale che si doveva assolutamente “fare presto”. L’Europa “unita” non poteva attendere.

È vero. L’America non poteva attendere che la Russia si riprendesse dopo essere riuscita a piazzare nei suoi apparati vitali un ubriacone e dei parassiti dediti alla dilapidazione delle ricchezze della Nazione.
Il risveglio russo, dopo i colpi inferti per tutti gli anni Novanta (si pensi all’attacco a Belgrado, che oggi sarebbe impensabile), stava nella legge naturale delle cose. E così è puntualmente avvenuto quando al Cremlino è andato Vladimir Putin.
Ma ci sono stati circa dieci anni devastanti, di cui ancora paghiamo le conseguenze. La fase di debolezza della Russia ha difatti coinciso con una stretta del nostro asservimento alla globalizzazione della Nato, la sionistizzazione di tutto il discorso politico ed un crollo verticale della nostra economia.

Oggi che la Russia è tornata un attore di primo piano, agli strateghi del “caos creativo” non resta che ricorrere all’embargo e al boicottaggio, sostenuti dal solito apparato di disinformazione mediatico.
Possiamo permetterci tutto questo? Lo si chieda alle imprese italiane che esportano. Non ai cretinetti dei “diritti umani”, che tanto per loro la “crisi” non c’è.

Bisogna assolutamente capire che il boicottaggio della Russia, così come quello di tutti i paesi presentati a tinte fosche (l’Asse del Male!), non è farina del “nostro” sacco, semplicemente perché non è nel nostro interesse. Al contrario, l’embargo alla Russia è nell’interesse di chi, costantemente animato da una fretta tremenda e sospetta, ci ha messo la camicia di forza di una “unione” che, stante il suo “commissariamento” perpetuo, previene le politiche autonome che ciascuno Stato europeo avrebbe potuto intessere con Mosca una volta caduto il Muro e venuto meno il diversivo ideologico della “Guerra fredda”.

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